“Bit tax”, o come pagare 80 dollari per un GB

Google e Fisco, si chiama Bit Tax la via per battere l'evasione del web (Corriere.it, 4 maggio 2017)

Ieri (4 maggio 2017), sul Corriere è apparso un articolo: Google e Fisco, si chiama Bit Tax la via per battere l’evasione sul web, a firma di Giuseppe Guastella.

La proposta di tassazione è esattamente come suona dal titolo: una boiata di dimensioni epiche. Ma vale la pena spendere qualche parola per capire da dove arriva e quanto sarebbe dannosa.

L’articolo del Corriere (4 maggio 2017)

Google e Fisco, si chiama Bit Tax la via per battere l'evasione del web (Corriere.it, 4 maggio 2017)

L’articolo del Corriere cita un intervento dell’ex presidente della Corte Costituzionale (ed ex Ministro delle Finanze) Franco Gallo sulla rivista Diritto Mercato Tecnologia:

«Ci si dovrebbe muovere su piani diversi da quelli tradizionali», ha sostenuto Franco Gallo, presidente emerito della Corte costituzionale sulla rivista «Diritto Mercato Tecnologia» riproponendo l’idea della bit tax, si parla di 0,000001 centesimi di dollaro a bit da applicare sui dati trasmessi via internet. Per Gallo, genererebbe «enormi introiti», potrebbe essere riscossa dai provider e «liquidata paese per paese», anche se c’è il rischio che venga scaricata sui consumatori.

L’articolo di Franco Gallo su Diritto Mercato Tecnologia (2016)

Il Corriere della Sera non linka all’articolo originario di Gallo sulla rivista, che tuttavia è disponibile sullo stesso sito di DMT in formato PDF.

A pagina 168 dell’articolo, Franco Gallo esplicita la sua idea:

7.1. L’ipotesi della “bit tax” In un’ottica non strettamente nazionale, la forma di tassazione di più facile attuazione mi sembra quella, planetaria, ideata nel 1995 da Arthur J. Cordell nota come bit tax, da tutti apprezzata – compreso l’OCSE -, ma mai realmente proposta. Essa è un’imposta volta a tassare i dati trasmessi via internet, da applicare, quindi, al traffico digitale per ogni unità di trasmissione elettronica, cioè il bit, che transita sulle autostrade dell’informazione, comprese le telecomunicazioni.

Interessante anche questo passaggio:

È evidente che la bit tax, così costruita, si pone fuori dal campo della specifica tassazione delle digital enterprises. Non può, quindi, essere assunta come uno strumento per recuperare a tassazione i redditi prodotti da tali società. L’aliquota dell’imposta, secondo Cordell, dovrebbe essere dello 0,000001 centesimi/$ per bit. Della sua riscossione dovrebbero occuparsi i common carrier delle telecomunicazioni, delle reti satellitari e dei sistemi via cavo. L’imposta verrebbe liquidata Paese per Paese.

La stessa fonte originale, cioè Franco Gallo, smentisce la tesi del Corriere: la bit tax non può servire a tassare i redditi delle digital enterprises (Google, Apple, Amazon, …), perché non è una imposta sul reddito. Ma questo è evidente a chiunque, tranne che al Corriere.

La fonte originale: gli scritti di A. J. Cordell (1995-1997)

L’altro elemento interessante che emerge dall’articolo è che la bit tax non è un’idea originale di Franco Gallo, ma è stata proposta nel lontano 1995 da Arthur J. Cordell. Riportiamo qui la citazione:

Arthur J. Cordell, New taxes for a new company, Government Information in Canada, vol. 2, 4, 1996;
Taxing the Internet: The proposal for a bit tax, International Tax Programat the Harvard Law School, February 14, 1997.

Il titolo della prima fonte così come citato è scorretto: cercandolo letteralmente su Google si trova solo l’articolo di Gallo. Il titolo corretto dell’articolo di Cordell è New Taxes for a New Economy. In questo, la proposta viene così dettagliata:

At what rate should nations tax digital bits? How would the new taxes be collected? For sake of argument, the bit tax could be .000001 cents per bit. […]

Much work has to be done on the burden or incidence of this new tax. Is the tax progressive or regressive? Will it be absorbed by the carriers or will it be passed on to consumers? Can one nation enact a bit tax or does it have to be a collaborative venture? Perhaps through the OECD or the G-7 group of nations. And what about the tax rate itself? Is it too high or not high enough? If the tax of .000001 cents per bit yields too much revenue, then it can always be adjusted.

L’ammontare proposto di un milionesimo di cent di USD per bit è una proposta puramente teorica, for the sake of argument: l’autore non si preoccupa nemmeno di motivarla o di studiarne l’importo ottimo (e lo dichiara).

La seconda fonte di Cordell, Taxing the Internet: The Proposal for a Bit Tax, ripropone essenzialmente lo stesso argomento.

Quanto ci verrebbe a costare la bit tax?

Fin qui abbiamo ricostruito la genesi della proposta. Ma ora facciamo qualche conto. Arthur Cordell, Franco Gallo e quindi il Corriere della Sera propongono una tassazione di un milionesimo di cent di dollaro a bit (0.000001 cent/bit). Facendo qualche semplicissimo conto, possiamo calcolare quanto si pagherebbe di bit tax per trasmettere un GB (un miliardo di byte) di dati:

0.01 dollari/cent * 0.000001 cent/bit * 8 bit/byte  * 10^9 byte/GB = 80 dollari / GB

Per fare un confronto, io attualmente pago al mio operatore telefonico 5,04€ per 2 GB di traffico dati mobile al mese, e questo è all’incirca il prezzo di mercato. La bit tax su quel traffico, al cambio attuale, ammonterebbe a più di 28 volte tanto il costo del contratto!

Altro confronto: su Amazon un hard disk da 1000 GB costa circa 50€. Questo significa che sarebbe letteralmente più economico farsi spedire a casa un hard disk da 1000 GB che scaricare 1 GB (un millesimo!) di dati da Internet pagando la bit tax.


Ma com’è possibile che il Corriere della Sera e un presidente emerito della Corte Costituzionale si mettano a rilanciare una proposta di 22 anni fa, senza un minimo di riflessione critica e senza pensare che una tassa di un simile importo basterebbe, da sola, ad uccidere l’economia digitale in Italia?

Per capirlo, non servono strumenti sofisticati.
Basta una moltiplicazione.

Autore: pietrodn

Sono nato nel 1993 e studio Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano. Amo leggere, programmare, costruire cose. Nella mia vita sono stato un Wikipediano e ho fatto parte del Consiglio di Istituto della mia scuola che è il Liceo Scientifico "Albert Einstein" di Milano. I miei interessi spaziano dall'informatica nelle sue diverse espressioni fino alla politica universitaria e a tutte le cose che possono definirsi geek.

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